Cominceremo dal duomo di Berceto, edificato nel XII secolo. Le mura perimetrali, la facciata, le absidi e la torre campanaria sono di arenaria autoctona (rípa santa); per i restauri dell' 800 si è usato materiale estratto nella cava dei Pianelli; per i portali, le lunette e le colonne interne l'arenaria dei Salti dei Diavolo, per alcune sculture più fini e delicate si è utilizzato il mass-ladéin, cioè la parte superiore dello strato dei Salti dei Diavolo. La pietra de il pluteo longobarico (secolo VIII), montato ora nel piede della mensa principale proviene anch'esso dai Salti dei Diavolo, unitamente alla finestra bifora ora incorporata nella canonica, recuperata dalle rovine del castello di Berceto.

L'eteroeogeneo materiale murario della pieve di Bardone proviene dalle zone circostanti (case Storti, monte Albareto, monte Cassio, val Sporzana e monte Prinzera) e dagli affioramenti della paleofrana a monte. Le figure della facciata e tutto il materiale della lunetta provengono probabilmente da arenarie allora affioranti nei calanchi tra monte Prinzera e Bardone; il portale laterale, gli spezzoni di colonna e le due figure (il vescovo e il pellegrino o il Profeta) sono di materiale arenaceo a forte componente calcarea che in origine era biancastrobeige, ma che in seguito ha subito un'alterazione in color tabacco dagli agenti atmosferici. La lastra del Cristo benedicente, quella della deposizione, la cariatide con l'acquasantiera , la coppía di leoni silifori sembrano invece, come afferma il prof. G. Zanzucchi, di diversa natura litologica, di provenienza non locale, scelta probabilmente dagli stessi maestri scultori, provenienti da zone lontane, così come accadde a Parma per l'Antelami e a Fornovo e Bardone per il suo sconosciuto imitatore che viene individuato come "maestro di Santa Margherita". Sempre nella Pieve di Bardone troviamo i resti di una antica balaustra in pietra arenaria, ora conservati alla rinfusa al piano terra della torre campanaria.

Altro manufatto di difficile datazione è una colonna che sorregge il portichetto di ingresso della ex canonica di Terenzo. Un'ipotesi verosimile è che il manufatto provenga dalla cappella imperiale fatta edificare da Carlo IV nel 1333 e andata distrutta nel XVii secolo. Anche in questo caso si tratta di arenaria autoctona, probabilmente estratta dai Salti dei Diavolo o nei foro dintorni.
Notevole è il camino che adorna la "sala dei torrione" in quel complesso di Lesignano Palmia ora di proprietà Volta -Ferretti ed ex castello. I reperti di quest'arte che va scomparendo si trovano ovunque: in architetture spontanee, oratori, cippi, architravi, vasi , mole per mulini, capitelli. Su un'architrave di una porta laterale della canonica, sempre di Lesignano, di cui si ha notizia fin dal XIII secolo, è scolpito il segno delle palme, riconoscimento dei pellegrini in terra Santa o dei Tempiàri. Solo come documentazione scritta bisogna ricordare che le scalinate dei cosiddetti "rampari" a porta Santa Croce sulle antiche mura della città e l'obelisco dell'architetto Petitot, del quale rimane memoria anche nel diario dei capitano Boccia, provenivano dalle cave dei Salti dei Diavolo.
Durante il periodo di Maria Luigia iniziò il periodo più intenso dell'attività estrattiva per la preparazione dei vari manufatti necessari al compimento della strada della Cisa, terminata nel 1938 con la messa in opera delle pietre chilometriche da Mantova a Sarzana.

 

Una citazione a parte meritano le mole scolpite per i numerosi mulini ad acqua presenti lungo il corso ed anche sui rii della fascia dei monti di crinale Parma-Baganza e Baganza-Taro, mole ottenute da due tipi di arenaria ed adatte quindi per la macina di farina fine oppure di granaglie a grana grossa.

Le mole erano ricavate da un filone parallelo ai Salti dei Diavolo. Basti ricordare che i mulini dei nostro comprensorio erano ben 38 (13 a Terenzo, 10 a Berceto, 5 a Calestano, 6 a Felino, 4 a Sala Baganza).